Descrizione
Leggi un’anteprima dal libro di Jean-Philippe Faure “Senza Punizioni né Ricompense”
Un giorno io attendevo me stesso,
mi dicevo Guillaume è ora che tu venga,
perché io sappia finalmente chi sono.
Guillaume Apollinaire
Come miliardi di altri bambini, ho imparato a dimenticare il rapporto con me stesso. Ho imparato a negare quel che provavo per fidarmi delle teorie degli adulti. Ho imparato a negare le mie emozioni attraverso degli atti di volontà e a nascondere le tensioni accumulate. Ho imparato a dedicare la maggior parte del mio tempo ai pensieri e solo qualche minuto al corpo, per farlo tacere quando si lamentava.
Quest’opera di distruzione, separazione e repressione viene chiamata “educazione”.
Dai sei ai diciott’anni, ho assimilato un sapere completamente esterno a me. Mi sono state inculcate migliaia di nozioni di cui faticavo a vedere l’utilità, a discapito degli argomenti che invece m’incuriosivano. Terminata la scuola, le declinazioni dei verbi mi erano più familiari del mio corpo intero, conoscevo i nomi della maggior parte dei paesi del mondo ma ero incapace di esprimere i sentimenti che provavo. Del resto, ne ignoravo anche la presenza: la scuola aveva contribuito a farmi diventare un analfabeta emotivo.
Per fortuna, però, gli anni scolastici non hanno spento del tutto la mia curiosità. Poco a poco ho re-imparato a guardare il mondo come una materia vivente e ho riscoperto la gioia di esplorare a partire da un mio desiderio profondo.
Grazie alla Comunicazione Non Violenta (a cui d’ora in avanti mi riferirò con la sigla “CNV”) mi sono immerso in materie di studio di cui nessun insegnante mi aveva mai parlato: entrare in contatto con i miei sentimenti e bisogni, esprimere la mia autenticità, trovare il mio posto all’interno di un gruppo, gestire i conflitti con fiducia e con una disposizione d’animo positiva… Ho capito fino a che punto mi fossero mancati, durante gli anni scolastici, quegli aspetti che la CNV sviluppa.
Poi, mi si è gradualmente rivelata una pedagogia più globale, che prende in considerazione l’intero potenziale dell’essere umano. Ho infatti scoperto che non bastava tenere conto dell’aspetto relazionale nell’educazione senza modificare la struttura dell’insegnamento, come mi hanno chiesto dei professori durante alcuni seminari.
Per comunicare in modo diverso bisognava modificare il rapporto con se stessi e col mondo, e la pedagogia che a quel punto emergeva era del tutto sorprendente: incentrata sulla presenza a se stessi e non più sull’assenza, sul percorso e non più sull’obiettivo, sul presente e non più su un programma.
Bisognava attuare una rivoluzione così completa da modificare tutti gli ambiti di riferimento della nostra società, perché avrebbe dovuto distruggere le radici profonde della violenza, ovvero la cultura e le sue credenze.
Essendo sempre stato un gran sognatore, sono consapevole dei rischi di un’esistenza virtuale. So quanto possa essere fragile il mio rapporto con la realtà e con quale facilità io possa reimmergermi in un universo fittizio, se vivo un evento che mi turba dal punto di vista emotivo. Ciò mi ha reso sensibile nei confronti della sofferenza che questa separazione dalla realtà può generare, sul lungo periodo, nei bambini.
Inoltre, non posso fare a meno di pensare alla forza vitale che sconvolgerebbe la nostra Terra se l’educazione potesse aiutare anche solo centomila giovani a incarnare la forza del loro pieno potenziale, se l’apprendimento contribuisse a creare degli esseri umani autonomi, sensibili al proprio ambiente e in rapporto con se stessi.
Vi invito a percorrere insieme a me alcune delle strade che vanno nella direzione di questa visione.
Nella pratica delle scuole, l’educazione si è fossilizzata sull’accumulazione di conoscenze e sull’acquisizione di modi di pensare, a scapito di tutte le altre forme di intelligenza. Questa focalizzazione sulle capacità mentali limita il potere di adattamento dell’individuo.
Nel mio lavoro di accompagnamento in materia di CNV, incontro molte persone che conoscono i propri problemi e sanno cosa potrebbero fare per migliorare la situazione, ma con la sola comprensione intellettuale non riescono ad abbandonare lo schema di cui vorrebbero liberarsi. Per operare la trasformazione che desiderano, infatti, devono sviluppare la propria intelligenza corporea ed emotiva.
Quanto alla famiglia, i genitori hanno sempre più difficoltà a dedicare il meglio della propria attenzione ai figli: a causa delle pressioni del sistema economico, tornano a casa sfiniti e stressati. Inoltre, qualunque siano i meriti di quel che riescono a trasmettere, i valori che incarnano si contrappongono alla potente inutilità di quelli veicolati dalla cultura. I bambini risultano quindi disorientati da dei messaggi contraddittori.
Per di più, è molto diffusa la tendenza a non dare ai giovani lo stesso rispetto intrinseco che si presta agli adulti. Qualunque siano i luoghi di incontro, l’atteggiamento si modifica a seconda che si parli a un cosiddetto “minorenne” o “maggiorenne”.
Durante la mia infanzia, ho vissuto con dolore questa differenza d’attenzione e continuo a essere molto sensibile a queste variazioni di sguardo. Ancora oggi, infatti, se per strada sento un adulto rivolgersi a un altro essere vivente gridando, spesso provo la necessità di girarmi verso quell’adulto per vedere se si sta rivolgendo al cane o al figlio. In entrambi i casi vengono usati lo stesso tono, la stessa intonazione e le stesse parole.
Io aspiro a vivere in un mondo libero dai giochi di potere legati all’età, e in cui i vecchi sistemi di pensiero su cui questi si basano siano scomparsi.
Ho un’amica di quattro anni. Certo, i nostri argomenti di conversazione non sono gli stessi che condivido con gli altri miei conoscenti: il senso dell’umorismo a quell’età è diverso da quello che si ha a quarantanni. Tuttavia, non vedo differenze di fondo tra questa e altre amicizie.
Paradossalmente, accanto a questa fondamentale mancanza di considerazione nei confronti dei giovani, vedo spesso concedere loro una sorprendente libertà d’azione e di linguaggio!
Assisto a delle scene in cui gli educatori guardano, impotenti, dei giovani rompere il materiale che viene offerto loro; sento dei genitori lasciarsi insultare senza reagire (ovvero non rispondono allo sconforto che si cela dietro l’insulto); osservo in continuazione sui cartelloni pubblicitari messaggi rivolti ai bambini, elevati al supremo rango di consumatori.
Vedo accordare loro una libertà d’azione che, però, non è legata a un rispetto profondo. Questo divario crea una confusione e una violenza latente che mi atterriscono.
In materia d’educazione, a volte mi sembra di vivere, come Alice, dall’altro lato dello specchio della logica. Nella nostra società i bambini non possono fare affidamento su un’apertura rispetto ai propri bisogni e sulla chiarezza per quel che riguarda regole e valori: piuttosto, quel che si offre loro è un rifiuto laddove aspirerebbero a essere ascoltati, e un atteggiamento permissivo laddove la fermezza rappresenterebbe per loro un potente sostegno.